Intervista a Daniele Corrado, Localization Producer e creatore di League of Legends

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Intervista a Daniele Corrado, Localization Producer e creatore di League of Legends


Abbiamo conosciuto Daniele Corrado lo scorso marzo, durante l’ultimo Game Global Digital Summit, evento di riferimento dedicato alla globalizzazione dei videogiochi e al quale Daniele partecipò come speaker.

Appassionato di videogiochi da sempre, Daniele ha cominciato a lavorare nel mondo dei videogiochi nel 2010 e negli ultimi 7 anni è stato Localization Producer in Riot Games, creatore di League of Legends, letteralmente il gioco più giocato al mondo.

Siamo qui con Daniele per farci raccontare la sua storia, com’è arrivato fino a qui; per spiegarci alcuni dettagli sull’immenso mondo dei videogiochi (e delle sue traduzioni) e, perché no, per svelarci qualche consiglio per chi si vuole avventurare in questo settore.

Ciao Daniele, innanzitutto grazie per aver accettato questa intervista. Partiamo dalle basi: chi sei e di cosa ti occupi?

Ciao! Mi chiamo Daniele e sono un Localization Producer

Cosa fa un Localization Producer in una casa editrice di videogiochi?

 

Un Localization Producer è quella figura che gestisce la creazione e il mantenimento di tutta l’infrastruttura di localizzazione (sia testo che doppiaggio, se presente), che controlla che tutti i contenuti testuali, visivi e audio siano compatibili con leggi e sensitività regionali e che gestisce tutto quello che è il veicolo che il contenuto localizzato usa per arrivare ai giocatori nella maniera più fluida possibile. Il Localization Producer deve prevedere intoppi e rimuoverli prima che la produzione arrivi a quel punto del prodotto.

Quali sono le sfide più ardue da tenere in considerazione quando si traduce un videogioco?


Le sfide più ardue sono sicuramente quelle relative alla transcreazione che deve essere il più possibile vicina al concetto che l’originale deve trasmettere, senza sfociare in una localizzazione che rischi di ledere sensibilità locali o che sembri forzata. Un grande classico sono i giochi di parole che non funzionano quasi mai se tradotti letteralmente ma che devono essere capiti e trasposti in una lingua diversa.

Bisogna comprendere il contesto in cui le frasi meno “lineari” da tradurre vengono dette, da chi, con che tono e cosa vogliono trasmettere. A volte può anche capitare che la traduzione veicoli maggiori informazioni dell’originale e questo può essere sia un bene che un male. Ad esempio, se un personaggio deve restare un’entità astratta per il giocatore per una buona parte del gioco, svelarne il genere all’inizio usando i suoi pronomi relativi fin da subito potrebbe rovinare la sorpresa per il giocatore.

Viceversa, quando ci sono personaggi che hanno fattezze non dichiaratamente maschili o femminili (come ad esempio un personaggio androgino come Bloodhound in Apex Legends) potrebbe essere una scelta adeguata un uso dei pronomi che ne rivelano il genere, per aumentare l’immedesimazione del giocatore.

Come sei entrato nel mondo lavorativo dei videogiochi?


Sono entrato nel mondo dei videogiochi quasi per sbaglio. Stavo cercando un impiego nel mondo dell’animazione e nel frattempo mandavo anche curriculum ad aziende in giro per l’Europa in cui potessi lavorare anche senza una qualifica specifica, per prendere dimestichezza con l’inglese parlato e per fare due soldini.

Un’ azienda di Glasgow (PTW) mi rispose e 4 giorni dopo il colloquio telefonico ero lì. Ho iniziato come Localization Tester per l’italiano per poi diventare Senior Tester e Lead Tester. Ho anche lavorato come Customer Support per videogiochi e 4 anni dopo aver iniziato ho mandato il curriculum a Riot Games e mi son trasferito a Dublino.

Qual è il tuo gioco preferito?


Penso sia una domanda molto difficile da rispondere con un solo titolo. Ho avuto tanti giochi che ho adorato, tanti a cui ho giocato un sacco e altri ancora che sono piccole gemme. Penso che uno dei miei preferiti sia Fallout (quello del 1997). Gioco di ruolo con visuale isometrica ad ambientazione post-apocalittica.

L’ho adorato e finito un paio di volte, cosa molto insolita per me dato che mi piace saltare da un titolo ad un altro, soprattutto indie, per vedere cosa c’è di nuovo. Fallout ha un posto speciale nel mio cuore dato che ha fatto in digitale quello che Dungeons and Dragons hanno fatto in forma cartacea: mi ha fatto imparare l’inglese.

Cosa consiglieresti ai più giovani che vogliono avvicinarsi alla tua professione?

 

Entrare nel mondo dei videogiochi è possibile. Sì anche in Italia, e lo dico per tutti quelli che han bisogno di sentirselo dire. Purtroppo e per fortuna non esiste un percorso di studi che ti possa portare ad un’assunzione garantita. Purtroppo perché sarebbe bello avere una rosa di percorsi di studi da cui attingere con la sicurezza di sfociare in un tirocinio in azienda ed un’assunzione.

Per fortuna, perché l’industria videoludica è estremamente vasta e ha sempre bisogno di talenti di diversa natura tra le sue fila. Oggi si può lavorare nel mondo dei videogiochi (e fare carriera!) anche da economisti, psicologi, artisti di ogni genere ed esperti di community.

So che questo non sembra particolarmente utile, quindi vi propongo una lista di cose che reputo vitali per trovare un impiego nel mondo dei videogiochi:

1. Imparate l’inglese
E non intendo “studiatelo a scuola”, ma trovate qualcosa che vi piaccia e fatela in inglese. Guardate film o serie TV? Mettetele in inglese con i sottotitoli in inglese e iniziate da cose che avete già visto, per poi avventurarvi su cose nuove. Giocate a videogiochi e giochi da tavolo in inglese. Leggete libri in inglese. Interagite su forum di discussione o simili su un argomento che vi piace, in inglese.

Ovviamente studiarlo a scuola aiuta un sacco, ma spesso vuoi per l’età. Vuoi per la mancanza di motivazione vostra e del professore, vuoi per mancanza di scopo (“cosa studio XYZ a fare?”) è molto difficile impararlo. Parlo per esperienza personale, dove mi è sempre importato poco impararlo fino agli ultimi 2 anni di superiori in cui ho avuto un professore che mi ha fatto amare la lingua. Quello ha aiutato per la grammatica, ma per il lessico il 90% delle cose che so, essere nerd ha aiutato molto.

2. Fate una triennale in università (se potete permettervelo) in qualcosa che vi piace
Questo vi aiuterà sia da un punto di vista personale, dato che l’università offre una quadratura mentale diversa rispetto alle superiori, anche da un punto di vista di curriculum.

Visto quanto detto prima, non esiste un percorso di studi o di esperienze formative che vi possa garantire un impiego, quindi mentre aspettate la posizione e azienda adatta a voi, avrete qualcosa da fare! Esistono anche persone che hanno trovato impiego nel mondo dei videogiochi anche senza nemmeno aver finito le superiori, ma queste sono rarità.

3. Restate aggiornati sull’industria
Cercate di mantenere la curiosità alta per i videogiochi e tutto quello che gira attorno a loro. Non fermatevi al solo giocare ma cercate materiale che proviene da conferenze, o ancor meglio partecipate ad una! GDC (Game Developers Conference) offre un sacco di materiali su YouTube ed è la principale conferenza sui videogiochi e cosa gravita attorno.

Ci sono anche privati che offrono corsi a pagamento su una particolare fetta del campo dei videogiochi. Controllate bene le referenze di queste persone prima di aprire il portafoglio. Spesso questi corsi sono molto utili per acquisire nozioni su argomenti specifici che potrebbero farvi brillare nei colloqui, ma state attenti a non pagare per della paccottiglia.

4. Non svendetevi
L’industria dei videogiochi è un’industria molto magica. Ma è sempre composta da aziende il cui scopo principale è di arrivare a fine anno in positivo nel bilancio. Ovviamente si può arrivare a questo in modi diversi, ma nessuna azienda fa quello che fa per beneficenza. E nemmeno voi dovreste. Per quanto possiate essere inesperti, voi avete bisogno di loro come loro di voi. Diffidate di aziende che propongono tirocini gratuiti senza prospettiva di impiego. E non cadete nel tranello di accettare compensi più bassi perché il resto viene pagato nella “magia” di lavorare nei videogiochi.


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